VISIONI DI JACK (parte 1)
«Intendo parlare di queste cose con la gente – ma credo che la cosa
principale resterà pur sempre questo monologo interiore che dura tutta
la vita incominciato nella mente mia.»
Jack Kerouac
Jack Kerouac
Non ho conosciuto Jack Kerouac con Sulla strada. Milioni di persone si limitano a leggere Sulla strada perché è il cult, convinti che basti questo per conoscere Kerouac o pensando persino che gli altri suoi libri siano pallide imitazioni. Io sono partito da Big Sur, molti anni fa, quando andavo alle superiori (preso in prestito dalla biblioteca scolastica). È stato difficile, forse impossibile in quel momento, capirlo fino in fondo. Ricordo anche la fatica nell'abituarmi alla prosa spontanea, questa forma personalissima e inaspettata di prosa, con cui il romanzo è scritto. Tempo dopo lessi Sulla strada e poi subito I sotterranei, e a quel punto ero già rapito. Avevo anche già capito che, sotto, Kerouac era molto più di quanto non trapelasse dal frenetico e alcolico vagabondare che racconta in Sulla strada. Non era tanto il tema affrontato ad attirarmi (esistono romanzi molto più avvincenti), quanto la religiosità presente in questi libri e nella prosa partorita dal loro autore. Una strada, una bottiglia, un'auto, l'amore, un passante, un vagabondo, un albero, una spiaggia, una notte stellata... Ogni elemento è visto attraverso una lente di sacralità e questa sacralità risiede nella vita stessa.
È, appunto, Beat-itudine.
Jack Kerouac ha una personalità complicata. Questa è la prima conclusione che ho tratto dopo le prime letture, a cui ho subito fatto seguire la biografia Vita di Kerouac di Ann Charters, che mi ha dato riprova della cosa. Complicata e, direi, introversa. Il che sembra piuttosto strano se si ripensa a On The Road, vero? Di introverso c'è assai poco in quel racconto. Jack trascorre molti anni della sua vita facendo avanti e indietro tra New York e California, il primo viaggio nel 1947 poco dopo aver conosciuto Neal Cassady. Jack elegge Neal a eroe (e non solo del romanzo). Il rapporto tra i due s'incrina già nel 1949 durante il secondo viaggio e da lì in poi è altalenante: Jack continua a idolatrare la figura di Neal come eroe americano, frenetica personalità che incarna l'elogio alla vita, e ciononostante sempre più difficilmente riesce a stargli dietro. Paradossalmente, nei primi anni 50 Jack si trova bene con Neal e la moglie Carolyn soltanto quando vive con loro nella tranquillità domestica. Nell'inverno 1951-52 Jack scrive Visioni di Cody inserendo dialoghi registrati durante serate a base di alcol e fumo nel loro salotto. In questo romanzo, come in On The Road, Jack non fa altro che trasferire su Neal l'immagine eroica che voleva di se stesso. L'ambiente new-bohemien di New York o San Francisco, insieme ad Allen Ginsberg e gli altri autori Beat, gli è decisamente più congeniale: permette a Jack di alternare le serate dove sbronzarsi e ascoltare bepop a tutto volume, con le sedute di scrittura nel cuore della notte a casa della madre. Nel frattempo passa attraverso il buddhismo, che gli consente di esprimersi in nuovi modi. Ma tutto questo raggiunge un limite e con la fine del decennio Jack si trova ad annaspare alla ricerca di risposte che non è riuscito a ottenere nonostante le molteplici strade tentate. Tutta la sua vita, in tutti i suoi aspetti, gli si rivolta contro e lui lentamente inizia a scivolare sui binari della decadenza psicologica, fisica e letteraria. Dopo il 1957, anno della pubblicazione di Sulla strada (a quasi dieci anni di distanza dalle vicende raccontate nel libro), Jack tenta di spiegare ai mass media e all'intera generazione che lo ha preso per modello, che le cose non stanno così e che Beat non è la stessa cosa di Beatnik. Kerouac si dichiara estraneo a qualunque significato avesse questa parola e rifiuta i concetti di ribellione e controcultura che rappresenta agli occhi del pubblico.
Lungo la sua vita, Jack si sposta da un posto all'altro mosso da insoddisfazione cronica, sempre alla ricerca di stimoli. Spesso questi stimoli stanno nel ritrovare cose perdute (il senso della perdita è ben presente nelle sue opere). Il ritorno dalla madre è sempre inevitabile, specialmente d'autunno, quando gli stimoli cessano e subentra la malinconia. Lì Jack trasforma tutto ciò che ha vissuto e provato in oro scritto, grazie alla sua prosa, sentendosi probabilmente in pace almeno per un po'. La sua è quindi irrequietezza esistenziale alla base della quale esistono domande di grande importanza e l'impossibilità di trovarne risposte soddisfacenti. Non è esattamente il ritratto dello hipster scalmanato i cui unici pensieri sono droghe, alcol, sesso e adrenalina. Un altro stereotipo che va in fumo è quello del Jack Kerouac fiero autostoppista. In verità lui tenta l'autostop quando non ha altre possibilità: dopo la prima esperienza del viaggio del 1948, Jack cerca sempre per prima cosa un biglietto dell'autobus (chiedendo soldi a mamma) e ricorre all'autostop soltanto in caso di necessità – gli capita comunque molte volte, ma talvolta ne parla come un'esperienza orribile.
L'ambizione fondamentale di Jack, motivo anche della sua immersione nel buddhismo, è una pacifica solitudine, la catarsi e l'armonia con il resto del mondo. Ann Charters (che ha conosciuto e lavorato con Jack per la biografia) commenta che l'estate del 1956 è l'unico periodo della sua vita che Jack trascorre effettivamente nella solitudine di cui tanto parla e scrive (sulle montagne a fare l'avvistatore di incendi: i suoi diari sono diventati il romanzo Angeli della desolazione). Dice anche, cogliendo nel segno, che il romanzo che più ritrae la vita e la mente di Jack negli anni simbolo, il decennio a cavallo tra 1947 e 57, è I sotterranei, libro che guarda caso ha poco o nulla da spartire con Sulla strada.
Non smettere mai di cercare: è questo che Jack sembra dirci per gran parte della sua vita letteraria, ed è questa la fonte della sacralità che ogni sua opera mostra. In alcune la sacralità è sfrenata, spregiudicata, un inno al godimento (On The Road), in molte altre ha una dimensione più intima e riservata ma contiene gli stessi significati (I sotterranei, Big Sur). “Il punto resta la salvezza”, sostiene Arnaldo Colasanti nella brillante postfazione al romanzo Pic (edizione Newton & Compton): “la certezza che non ci si salvi da soli. Per il cattolicesimo la redenzione è l'azione, è l'incontro con la realtà; per il buddhismo quella salvezza è il credo della non azione, è la revoca ineluttabile della realtà. Due assoluti, dunque. […] È qui Jack Kerouac. Semplicemente in questo: la sua felicità è assoluta, è perdutamente tragica.”
Tutto questo mi ha affascinato spingendomi a leggere tutta la produzione di Kerouac in ordine di scrittura. Ogni libro è frutto di un contesto di vita, e la stessa vicenda considerata in due momenti diversi dà origine a due libri diversi (è il caso delle opere di fine anni 50 – I vagabondi del Dharma, Angeli della desolazione, Big Sur e Viaggiatore solitario – scritte in parte prima e in parte dopo che il buddhismo ha perso il suo fascino per Jack). Quasi fosse un corso di studi all'università, ho sentito la necessità di scrivere a mia volta il resoconto di questo mio viaggio letterario. I libri di Jack narrano la sua vita: dai romanzi ai taccuini alla corrispondenza, ogni cosa è un capitolo della Leggenda di Duluoz, da lui stesso concepita come summa dei suoi scritti. (Scrive, in Satori a Parigi: “quel vecchio nome bretone Daoulas, di cui per gioco inventai la variazione 'Duluoz' nella mia gioventù scrivereccia”.) Una vita raccontata attraverso i libri: il romanzo di una vita, appunto. Se li prendiamo tutti insieme e li mettiamo in fila, abbiamo l'immagine di Jack Kerouac al completo. Di più: abbiamo lui ancora vivo, che ancora racconta. Contribuire a dar forma a questo romanzo di una vita, collocando ogni tessera al posto giusto, è l'obiettivo del mio libro.
Purtroppo non c'è il lieto fine in questa storia: perché Jack ha smesso di cercare, a un certo punto, lasciandosi cadere fino a sparire per sempre, ma anche questo è un profondo insegnamento che traiamo dalla sua esistenza.
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