mattbriar

NEIL YOUNG: LE NOISE


Non ho mai pensato che Neil Young avesse smesso di scrivere belle canzoni, anche nel dibattutissimo decennio appena concluso. Lo considero un artista completo, a tutto tondo: la creatività non può essere sempre allo stesso livello e un artista ha bisogno di cambiare per non fossilizzarsi. Quando esce una nuova opera, la si deve considerare nel contesto generale dell'autore.
Con Young si fanno spesso i confronti sbagliati. Piantiamola di nominare After The Gold Rush o Tonight's The Night e fare questo genere di paragoni. E' ovvio che non ci sarà mai più un Gold Rush o un Harvest... ed è giusto così. Altrimenti si arriva a pensare che ogni nuova opera sia un'inevitabile delusione). Non condivido questo tipo di approccio, tanto meno se l'artista in questione ha dimostrato, sia in senso artistico che umano, tutto ciò che ha saputo dimostrare Neil Young. Certe sue scelte, lo so, sono state bizzarre e lasciano un po' il tempo che trovano, ma il suo songwriting non ha mai ceduto, è soltanto mutato con l'andar del tempo, proprio come ogni cosa cambia nella vita. Young è un artista a tutto tondo e reagisce istintivamente agli stimoli che ha intorno.
La morte di persone care porta con sé un peso schiacciante, questo lo sappiamo tutti. Ecco che un anno di lutti (Ben Keith, Larry Johnson) chiude un decennio nel quale ha affrontato la morte (operandosi per un'aneurisma nel 2005), una crisi matrimoniale (l'album Toast del 2001 dovrebbe dirci qualcosa a riguardo, quando uscirà... forse non è una coincidenza che sia rimasto nel cassetto), e dal punto di vista artistico una serie di progetti di protest-album che hanno fatto discutere e diviso la critica, in particolare quando chiedeva l'impeachment di Bush in Living With War (2006), o con quel bizzarro esperimento musical-ecologico che era Fork In The Road (2009).
Arriviamo quindi a Le Noise. Che, all'inizio dell'anno, avrebbe dovuto intitolarsi diversamente ed essere un tradizionale album acustico – una conseguenza logica, in fondo, ora che le storiche band di Young stanno iniziando a sgretolarsi. Ma forse i limiti gli erano evidenti sin dall'inizio, forse Neil non si sentiva più molto rappresentato da questo format. Forse ha sentito puzza di ruggine e, con l'esperienza di quarant'anni in questo campo, gli è bastata una telefonata a Daniel Lanois per spruzzare l'antiruggine.


Lanois è famoso per aver lavorato con gli U2, ma ha fatto cose anche migliori con gente come Bob Dylan, Willie Nelson, Robbie Robertson e Emmylou Harris. Di Le Noise si devono considerare due aspetti: quello sonoro e quello compositivo, sebbene si combinino in un insieme eccellente. Infatti il ruolo di Lanois, lo sperimentalismo sonoro, è la cosa più evidente del disco che ha garantito a Young un impatto diverso, originale, più vicino allo spirito delle canzoni e dell'artista in questo momento. Come ha detto in diverse interviste, ha ottenuto qualcosa che lo rappresentasse davvero.
Va sottolineato che il lavoro di Lanois non è invadente. Il suono della chitarra è sempre in primo piano, contornato di riverberi (naturali, registrati nelle infinite stanze di villa Lanois) e manipolazioni, per esempio ripetizioni di frammenti vocali. Il tutto cucito ad arte, senza sbavature o eccessi. Lanois sa il fatto suo, e non è facile giocare in questo modo con i suoni.
L'equilibrio di Le Noise sta nel fondere perfettamente la spontaneità rugginosa di Young con l'ambizione verso un sound inedito voluta da Lanois. Questo porta a un risultato superiore rispetto a quanto Young abbia fatto da solo negli ultimi anni, perché una pecca della sua produzione recente è appunto un'eccessiva carenza di cura degli aspetti produttivi.
D'altro canto Young non è nuovo alle sperimentazioni e alle collaborazioni. E' sbagliato pensare che Le Noise sia un'operazione per vendere il binomio Young+Lanois (ebbene sì, qualcuno ha detto anche questo). Sappiamo che il canadese non ragiona proprio in questi termini: la sua carriera procede tra alti e bassi, non solo di vendite o popolarità, ma anche di generi e contaminazioni musicali. Fa parte del gioco, direi che è molto naturale avere un disco così dopo cinque, tortuosi anni da Prairie Wind.
Le Noise non avrebbe comunque riscosso l'accoglienza che, nella maggior parte dei casi, sta ricevendo se non fosse stato un album migliore degli ultimi anche da un punto di vista compositivo. La veste sonora, infatti, sottolinea una base di per sé solida: Lanois non poteva certo salvare un album vuoto, e lui stesso ha consigliato a Young una certa selezione nei pezzi (a questo proposito va detto che non ci sono “Leia” e “You Never Call” proposte nel tour di quest'anno, che vanno ad aggiungersi agli Archives).

Daniel Lanois

Le Noise è un disco denso e compatto. Nell'apertura di “Walk With Me” Neil esorta tutti coloro che gli stanno vicino a seguirlo in un viaggio che non vuole fare da solo. Una dichiarazione che non si limita ai 38 minuti del disco ma si rivolge al futuro. Nei pezzi successivi fa il punto della situazione, spaziando con lo sguardo tra se stesso e il mondo che lo circonda nelle sue varie sfaccettature. “Love And War”, che alcuni considerano il momento migliore dell'album, è sincera in un modo disarmante: Neil riflette sulla posizione ambigua del cantautore che scrive canzoni sulla guerra, declamando. Ma non è un'ammissione di sconfitta, piuttosto la presa di coscienza che, almeno artisticamente, è meglio continuare a porre domande che non declamare risposte.
In “Hitchhiker” (canzone molto vecchia recuperata in un contesto autobiografico che però, forse, non la valorizza davvero) dopo aver raccontato delle droghe assunte in gioventù, non cerca scuse o giustificazioni, e nell'ultimo verso cita amici e nemici, scomparsi o ancora qui, e finisce col ringraziare i figli e la moglie. “Angry World” è alla stregua di un pensiero colto sul nascere, una puntualizzazione da cronaca: “è un mondo arrabbiato sia per l'uomo d'affari che per il pescatore” (riferimento al Golfo, dove non c'è molto da pescare in questi giorni). Semplice, immediata, cattiva come sa fare Young, ma non scontata.
“Sign Of Love” e “Someone's Gonna Rescue You” sono canzoni più tipiche con riferimenti tanto al suo personale mondo interiore che a quello esterno. Nella prima Neil parla di capelli argentati e poco tempo rimasto. La seconda, più accattivante, ci fa domandare di chi Neil stia parlando: chi deve essere salvato, e da cosa? Con “Peaceful Valley Boulevard”, altro masterpiece, Young torna a rivisitare nel suo modo intimistico la storia americana, spaziando dal Far West alle auto elettriche. Anche la conclusiva “Rumblin'” è una misteriosa riflessione, ancora più forte in termini musicali. “Quando imparerò come sentirmi? Quando imparerò come ripagare? / La Terra gira e cambia lentamente, sento scuotersi il terreno”.
Senza definirlo capolavoro, Le Noise è un ottimo disco a cominciare dalle canzoni, dalle lyrics e dalla grinta della chitarra, dal connubio musica-testo-arrangiamento: funziona tutto. Poco importa che non ci sia una canzone all'altezza di “Ambulance Blues” (ci risiamo coi paragoni, eh?).


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