ARTHUR C. CLARKE (pt.6): LE SABBIE DI MARTE & L'ULTIMO TEOREMA (E IL PARADOSSO CLARKE)
Le sabbie di Marte
(1951), come Preludio allo spazio,
è tra i primi romanzi di Arthur Clarke e il tratto comune che
distingue questi lavori è il tema della speculazione scientifica su
frontiere spaziali che l'uomo non aveva ancora conquistato. Se
Preludio era la
cronaca della preparazione al viaggio verso la Luna, qui c'è la
conquista di Marte, una città sotto a una cupola, l'intento di
fornire al pianeta un'atmosfera respirabile. L'uomo non è ancora
andato su Marte quindi il romanzo è a tutt'oggi una speculazione sul
possibile, anche se ovviamente si percepisce la sua “antichità”.
Ma nel 1951 l'uomo non aveva ancora messo piede nello spazio!
Ho trovato il libro più
interessante, completo e avvincente di Preludio
allo spazio. Il protagonista è uno scrittore
di fantascienza che ottiene di visitare la colonia marziana,
scoprendo poi di volerne essere parte, e vivendo quelle esperienze
che aveva tentato di immaginare nei suoi libri. Una proiezione di
Clarke, con ogni probabilità. Il romanzo alterna come sempre parti
più descrittive a parti più narrative e incentrate sui personaggi,
in particolar modo nella seconda metà. Il risultato è un libro
ancor oggi godibile, forse proprio per quel suo sapore retrò che lo
trasforma, a mio avviso, in una vecchia pellicola che scorre davanti
agli occhi riga dopo riga. Non ci sono le suggestioni e le
proporzioni mitiche di Asimov, non ci sono nemmeno le sottigliezze
del Clarke di La città e le stelle
e Le fontane del paradiso,
ma c'è il fascino della fantascienza d'autore più classica di
sempre.
Idee alla base ***; sviluppo ***; consigliato ***
Cos'è il paradosso
Clarke? L'ho inventato io sebbene sono certo che altri lo abbiano già
pensato: ovvero, che l'altalenanza qualitativa di Arthur C. Clarke ha
dell'inspiegabile. Questo celeberrimo scrittore è stato capace di
creare alcune delle pagine più emblematiche e senza tempo della
science-fiction, ma anche alcune pagine davvero povere e sgradevoli,
pagine che possono causare un'idea davvero sbagliata e sminuente
della fantascienza.
Leggere L'ultimo
teorema, che Clarke ha scritto insieme a
Frederik Pohl nel 2008, mi ha portato a questa
conclusione, che avevo già accarezzato con Polveredi Luna (ma quello aveva ritmo ed era figlio
dei suoi tempi). Ritengo una cosa normale che la bibliografia di uno
scrittore abbia un andamento curvilineo, anche perché il giudizio su
ogni libro ha una componente soggettiva non da poco. Premesso dunque
che si tratta di una mia opinione – in rete, comunque, trovo
opinioni molto simili – L'ultimo teorema
è un libro di rango talmente basso che l'ho abbandonato. Il che è
significativo per me: conto sulla punta delle dita i libri non
terminati, cerco di dare una chance fino alla fine anche a quelli che
non mi convincono per niente. Ma qui non ce l'ho fatta: oltre a
essere prolissi riguardo a delle inezie, è fastidioso lo stile con
cui i due autori vogliono raccontarci una storia totalmente assente,
buttando nei capitoli qualche presenza aliena a dir poco disneyana.
Soprattutto, sembra che l'unica ragione dietro al libro sia
dimostrare di sapersi destreggiare, da parte dei due autori, con dei
trucchetti matematici, di conoscere una profusione di teoria e di
aneddoti a tema più o meno matematico. Un esercizio di stile o di
pura vanagloria (perché lo stile dov'è?), tanto che a pagina 90 ho
iniziato a pensare di stare perdendo il mio tempo: non può esistere
cosa peggiore per un libro.
Mi viene anche da pensare,
dato che Clarke è scomparso proprio nel 2008, che il libro
pubblicato sia una sorta di prima stesura senza ancora i tagli e la
ristrutturazione necessari.
Idee alla base *; sviluppo *; consigliato °
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