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CORMAC McCARTHY: ASSENZA E DISUMANITA'



Cormac McCarthy è un celebrato scrittore contemporaneo che si inquadra in una letteratura post-modernista ad ampio respiro, ma che ha anche tutti gli elementi per diventare un classico. La sua immaginazione e il suo stile sono senza dubbio fuori dal comune. Nei libri di McCarthy ci sono elementi drammatici, horror, grotteschi e una certa visionarietà di fondo. Di recente ho letto Il Buio Fuori (1968) e Figlio di Dio (1974) e sono libri di cui non rimane un ricordo preciso, una storia o un concetto su cui basare un facile riassunto. Rimangono piuttosto delle scene, delle immagini e delle sensazioni. È difficile parlare di McCarthy proprio a causa della sua evanescenza.
Entrambi i libri, che appartengono alla sua vecchia produzione, sono ambientati nell'America rurale d'inizio Novecento, fatta di gente spietata e terre ostili come in un western classico. Al cuore di questi libri ci sono personaggi erranti a metà tra umano e animale, che si muovono e agiscono senza fornire ragioni a chi legge, motivati dal solo stimolo azione-reazione, da lasciare di sasso il più delle volte. Essi sono al centro di vicende sconvolgenti - violenze, omicidi, stupri - che sembrano l'unica risposta di cui le persone sono capaci vista la loro natura da disadattati. La violenza sembra essere l'unica strategia evolutiva di sopravvivenza nei confronti dell'ambiente.
Azioni brevi e compiute, descritte tramite immagini potenti, sono il principale motore narrativo. McCarthy non indugia nel descrivere e particolareggiare, non usa nemmeno le virgolette per separare i dialoghi dalla voce narrante, un tratto stilistico emblematico. Si percepisce la totale assenza di ragione e sentimento per come li intendiamo comunemente. Cosa c'è quindi, esattamente, al cuore di McCarthy? La necessità di dire la verità sulla brutalità dell'America del passato, verità sulla quale è sorta l'immagine positiva dell'America e, in generale, dell'Occidente che abbiamo oggi? Una violenza incomprensibile, primitiva, animale, che si nasconde sotto alla violenza quotidiana di cui apprendiamo sui giornali?


Credo che nei confronti di questo scrittore il lettore debba dimenticare il bisogno di una spiegazione facile. Deve - probabilmente, anche se forse anche questa è già una spiegazione facile - assimilare ciò che passa davanti ai suoi occhi spalancati e prenderne atto. Nessuna posizione, nemmeno il bene sul male o viceversa. Gli umani in McCarthy sono disumanizzati, la natura stessa è denaturalizzata: in certe scene è terribile, in altre è affascinante, le azioni sono al limite dell'irragionevole e dell'illogico, lo stile ricerca l'assenza e la vacuità.
Non è un Paese per Vecchi (2005) e La Strada (2006), due romanzi di epoca più recente, proseguono nella stessa direzione ma risultano più comprensibili sia per i temi trattati (il traffico di droga ai confini tra Messico e USA, nel primo, e una Terra in ginocchio dopo l'apocalisse, nel secondo) e per la più forte percezione di una trama dietro a fatti e personaggi. E' più facile disumanizzare gli umani se li si pone in un mondo desertico dove il cannibalismo è sopravvivenza: è più facile sia esprimere che comprendere il concetto. Lontano anni luce dall'essere banale e archetipico, in queste due nuove opere McCarthy riesce a entrare in sintonia al meglio con il lettore, mettendolo in un insolito misto di agio/disagio. E' certamente un McCarthy più cinematografico nel taglio (non a caso ne sono stati tratti due eccellenti film).
L'apocalisse dove si ambienta La Strada, in fondo, è dietro l'angolo anche in Il Buio Fuori e Figlio di Dio. E McCarthy continua a non prendere posizioni. A parte, forse, quando il bambino di La Strada, alla fine del romanzo (che è anche l'ultimo pubblicato a oggi), dice: "noi portiamo il fuoco". Mi sembra che McCarthy abbia voluto farci sapere che, dopo aver passato in rassegna una lunga serie di abomini semiumani, ha finalmente trovato un umano che sappia cosa significa esserlo. (Ma anche questa potrebbe essere una facile spiegazione.)


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