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ROBERT HEINLEIN: STRANIERO IN TERRA STRANIERA (O DELLA RAZIONALITÀ)



Ci sono romanzi che hanno segnato la fantascienza perché, per una ragione o per l'altra, sono stati in grado di andare al di là del genere e del suo pubblico abituale, contribuendo a un immaginario più vasto. È il caso di Straniero in terra straniera, una delle opere del periodo "maturo" di Robert Heinlein, uscito nel 1961 e vincitore del premio Hugo.
Dopo essere cresciuto su Marte, il giovane orfano Michael Valentine Smith viene riportato sulla Terra ma tenuto prigioniero dal governo in un ospedale. Riesce a fuggire grazie a Gillian, infermiera, che non tollera l'ingiustizia di cui è vittima e lo nasconde a casa del milionario Jubal Harshaw. Smith inizia a vivere con loro confrontandosi con i comportamenti umani. Il governo riesce a ritrovarlo ma Smith si difende grazie a una sua capacità sorprendente ma terribile: far sparire cose e persone. Anni dopo Smith decide di lasciare casa di Jubal per vedere il mondo e sforzarsi di capirlo, e infine si trasforma in una figura messianica fondando una chiesa dove tenta di insegnare agli uomini la disciplina interiore e il legame spirituale sui quali si fonda la vita dei marziani.
Come già accaduto in quel capolavoro che è La luna è una severa maestra, anche questo romanzo vuole mettere in discussione abitudini, credenze, assiomi e comportamenti della società umana, spaziando tra religione e scienza, politica, sociologia e massmedia. Un attacco, insomma, alla vita americana dell'epoca del boom economico, moralmente rigida e puritana. Heinlein non solo mette tutto in discussione, tenta anche di proporre delle alternative, degli schemi "diversi" ugualmente percorribili, con particolare riguardo alla sessualità, alla famiglia e alla religione. Ad esempio, Valentine è parte di una specie che non distingue due sessi, perciò in tutto il romanzo si inneggia alla bisessualità o comunque alla sessualità libera, e alla ricostruzione del concetto di nucleo famigliare verso qualcosa di analogo alla comune.
Vi sono anche ovvi risvolti politici, dal momento che al modello consumistico/capitalistico viene preferito di gran lunga un modello marxista di società libera dove "tutto è di tutti" e tutti hanno le stesse opportunità. Valentine non ha nemmeno una concezione di religione o religiosità simile alla nostra, lontano da qualsivoglia pantheon di dèi, dato che ritiene ogni forma di vita una sorta di emanazione del divino. Una filosofia riconducibile a quella animista che caratterizzava l'essere umano all'epoca dei cacciatori-raccoglitori, prima dell'avvento delle religioni istituzionalizzate.
Argomenti tabù insomma, che all'epoca scatenarono tanto una pioggia di critiche quanto, sul fronte opposto, una grande ammirazione dalla controcultura giovanile alla base dei movimenti degli anni Sessanta, comunemente detti hippie o "figli dei fiori". Ragion per cui, appunto, il romanzo raggiunse un'ampia fama al di là della fantascienza, sebbene non al livello del Signore degli Anelli di Tolkien.


L'apparente ingenuità di questa visione o questo approccio può far storcere il naso, soprattutto se affiancato a capitoli che diventano lunghe filippiche socio-politiche. Talvolta il romanzo sfiora i tratti del saggio (un po' come capitava in 1984 di Orwell o nel Mondo Nuovo di Huxley) mantenendo al contempo lo stile di scrittura semplice tipico di Heinlein. Cerchiamo quindi di entrare un po' più in dettaglio all'interno di un libro che certamente ha sia luci che ombre.
Sì, quella di Valentine sembra apparentemente l'interpretazione facilona e utopica della realtà che farebbe un bambino. Eppure, a ben vedere, l'unico modo che l'alieno protagonista ha per comprenderci è quello razionalizzarci al massimo, di scomporre la nostra vita in tutte le sue parti e analizzarle singolarmente. La sua visione quindi non è altro che la razionalizzazione dei nostri comportamenti, un processo (o meglio un tentativo) durante il quale sia i personaggi della storia che il lettore si sforzano di mettere in luce le contraddizioni e le problematiche insite nella nostra società. In sostanza, la natura aliena di Valentine è il pretesto narrativo attraverso cui l'autore svolge il suo lavoro critico.
Inevitabilmente il modo in cui Heinlein tratta queste tematiche risente un po' di una certa "rigidità" dovuta al momento storico in cui scriveva. Se consideriamo il sessismo imperante a quell'epoca e l'entusiasmo americano/occidentale piuttosto diffuso in questo tipo di fantascienza, Straniero in terra straniera per certi versi è paradossale, dato che il messaggio che veicola è diametralmente opposto a certe sfaccettature stilistiche che presenta.
Da un punto di vista più strutturale, è semplicemente troppo lungo. Ho trovato il primo terzo molto avvincente, poi il tutto si appesantisce quando l'azione diminuisce e i dialoghi diventano trattati che occupano interi capitoli. Gli ampi passaggi dialogici e saggistici, contrapposti al linguaggio "popolare" (non dimentichiamoci che Heinlein veniva da un decennio di romanzi per ragazzi), invecchiano un romanzo di per sé brillante nell'idea, divertente nella narrazione e meritevole nell'intento. Il finale mi pare che risollevi le sorti: è spietato, sorprende, commuove persino, probabilmente perché inevitabile. Va detto che l'edizione in commercio oggi è quella originale integrale, perché nella sua prima pubblicazione Straniero in terra straniera subì diversi tagli voluti dall'editore. Non avendo letto quella versione e non sapendo con quale criterio furono operati quei tagli, non posso dire se fosse migliore o peggiore di quella integrale.


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