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IL DECLINO DELL'OCCIDENTE SECONDO IDA MAGLI (PT. 1)



Ida Magli, antropologa scomparsa nel 2016, è nota per le sue posizioni contrarie all’Unione Europea, alla perdita d’identità nazionale e di sovranità economica. Il suo punto di vista riecheggia forte e chiaro in Dopo l’Occidente (2012), ma anche chi non le condivide, o non del tutto, dovrebbe apprezzare gli elementi antropologici e geopolitici che l’autrice offre riflettendo in particolare sull’Europa.
Questo è il primo di tre post che ho pensato di dedicare al libro, offrendovi un riassunto del pensiero dell'autrice, come ho già fatto per Sistemi di potere di Chomsky lo scorso anno.
Il libro parte dall’assunto che il futuro del mondo (in particolare dell’Europa, e soprattutto dell’Italia), pur non prevedibile dal punto di vista politico, lo è da quello culturale. Scopo dell’autrice, da un lato, è evidenziare le manovre politico-economiche assolutiste che stanno portando al declino dell’Europa, con i governi al sevizio dei banchieri europei, al sicuro grazie al crescente disinteresse della popolazione verso il patrimonio artistico e culturale e, in definitiva, verso il pensiero critico. Dall’altro, tracciare lo scenario di un futuro non lontano in cui il continente europeo potrebbe essere caratterizzato da una forte prevalenza musulmana, cultura radicalmente diversa e più forte di quella dell’Occidente cristiano, che ne uscirebbe disgregato.
Dopo l’Occidente è un titolo piuttosto radicale, in linea con l’autrice, rivelatorio per certi aspetti, contestabile per altri: è proprio questo, a mio avviso, che lo rende veicolo di un’ideologia autentica, non posticcia o conformista. Una campana che vale la pena ascoltare. D’altra parte la Magli non si è mai nascosta dietro a un dito. La lettura va affrontata a mente aperta perché il testo va al di là delle bandiere politiche, essendo prima di ogni altra cosa una critica verso il potere e verso la strumentalizzazione che il potere opera sull’uomo e i suoi ideali, cosa che ci riguarda tutti (beh, certo, a meno che non siate uno di quei banchieri...).
L’approccio antropologico getta luce su questioni complesse e, per gran parte della gente, incomprensibili: dal fondamentalismo islamico alle le crisi economiche, al “fallimento” di paesi come la Grecia. Il metodo della Nuova Storia (per intenderci, lo stesso adottato dal celebre Yuval N. Harari) fa della Storia non un mero elenco di date, luoghi e nomi, ma un racconto vivo e aperto, e interdisciplinare: in altre parole, umano. Un metodo brillante e utile per comprendere parte delle ragioni culturali dietro alle forze imperanti nel mondo che viviamo, quell’abisso incolmabile che separa le culture, in particolare Occidente e Medio-oriente, eredità dei millenni alle nostre spalle.



Parte 1. Dal valore sociale al delirio collettivo

Una cultura si definisce “viva”, spiega l'autrice all'inizio del libro, se ha la forza di irradiarsi verso l’esterno, di accrescere il proprio numero. Tanto il singolo individuo quanto un intero popolo sono animati dal desiderio di trasmettere i valori in cui credono, persuadendo gli altri di tali valori. Questo perché siamo spinti dal bisogno di trovare conferma ai nostri dubbi e alle nostre convinzioni in altri esseri umani, che hanno le stesse idee: è il sistema di verifica del pensiero (peraltro, recenti studi sul “cervello narratore” lo confermano, definendo questo sistema come “teoria della mente”: ci tornerò sopra in un futuro post, promesso!). In questo processo, la cultura si trova di fronte a inevitabili elementi estranei, diversi. Se essi non sono in contraddizione con il suo nucleo di base, li può integrare in una sorta di simbiosi. Altrimenti, li rigetta: esattamente come il sistema immunitario, se una cultura si lascia “invadere” da elementi esterni ostili ha inizio un processo debilitante che porta all’estinzione.
Nell’odierna cultura occidentale gli antropologi rilevano i segnali di tale situazione. L’autrice porta come esempio il consumismo sfrenato, gli atti di violenza randomica, gli omicidi-suicidi soprattutto nelle fasce giovani, l’ossessione del “non perdere tempo”… Tutto ciò è la conseguenza del vuoto lasciato dal pensiero. Le cose che contano davvero e rendono “viva” una cultura, cioè scienza, filosofia e arte, nella nostra cultura occidentale non vengono più prodotte o diffuse, sostituite dal mercato, dalla pubblicità e dagli indici di borsa. Questi concetti, spacciati come “valori” e innestati come baricentri della vita, ci inducono a credere a cose assurde e del tutto astratte, come l’idea che gli stati possano fallire. I popoli non possono fallire (al massimo possono morire), dice la Magli, perché non sono riducibili a numeri.
Il corrente sistema di “valori” è un sistema che non trova riscontro nella realtà, e un sistema di valori privo di riscontri nella realtà è esattamente la definizione di “delirio”. Il delirio di gruppo non è diagnosticabile: se tutti delirano, nessuno delira. Ma laddove delira il “rappresentante” del gruppo, cioè chi siede al governo, questo è sufficiente per metterne in moto gli effetti. Il declino dell’Occidente, secondo l’autrice, parte da qui.


Nel secondo dopoguerra, per la prima volta nella Storia il metodo adottato dal potere per dominare i sudditi è stato quello di svuotare la loro vita dei valori autentici e trasformarla in cifre. In un altro punto del libro la Magli ne spiega la ragione: come avrebbe potuto ricrearsi un impero dopo l’immensa catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, se non attraverso un sistema che rifiutasse l’idea della guerra? Capovolgendo i principi, creando un impero dove tutti i leader collaborano, è stato messo in piedi un sistema altrettanto assolutista di quello nazista o bolscevico, solo che, conclude l’autrice, a essere distrutti non sono le città o le vite fisiche delle persone, bensì gli Stati e i popoli. In questo contesto, la Storia dimostra come la repubblica parlamentare e tutte le altre “valvole di sicurezza”, ideate per scongiurare l’eventualità che chi siede sul trono voglia accrescere il proprio potere sempre di più, si siano rivelate fallimentari.
Oggi l’economia è un vero e proprio credo che parte dal medesimo fondamentalismo della teologia. Più avanti nel testo, la Magli spiega come la teologia nasca dall’attitudine di aggiungere interpretazioni ad altre interpretazioni, senza mai rompere con ciò che è già stato detto, rimanendo perciò sempre fermi sullo stesso punto, in un circolo vizioso.
Vari studi tra cui quelli del premio Nobel Amartya Sen, hanno dimostrato che è errato ritenere il mercato e la sua crescita il fattore fondamentale dell’economia, e nessuna dinamica economica può essere valutata in termini assoluti, al di fuori di ogni specifica società. Eppure, nei banchieri che governano l’Europa è radicata l’idea che la salvezza degli Stati dipenda dal mercato e dalla crescita e la possibilità che questa teoria sia fallace non li sfiora, proprio come i sacerdoti di una qualsiasi religione non potrebbero mai dubitare che il loro dio esista. “Mercato” e “crescita”, conclude l’autrice, sono la versione moderna degli enormi falli priapeschi che in tempi tribali proteggevano le messi.
[Continua]



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