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CLAUDE HOPKINS E LA CREAZIONE DELL'ABITUDINE




C’era una volta Claude Hopkins, pubblicitario americano, che all'alba del XX secolo decise di sfidare un mercato già saturo di dentifrici e lanciare un nuovo marchio: Pepsodent. All’epoca l’igiene dentale non era la priorità per la maggior parte delle persone, ma Hopkins intuì che la chiave del successo del Pepsodent risiedeva nel creare l’abitudine di utilizzarlo.
Formulò due regole fondamentali:
1. Identificare un segnale semplice ed evidente: studiando i testi di odontoiatria, Hopkins individuò nella pellicola dentale, una patina naturale presente sui denti, il segnale perfetto. Ce l’avevano tutti, era facilmente percepibile passando la lingua sui denti e rappresentava un costante promemoria della necessità di lavarsi i denti.
2. Offrire una ricompensa chiara e desiderabile: la semplice rimozione della pellicola non era un premio abbastanza allettante. Hopkins scelse quindi di associare l'uso del suo dentifricio ai denti bianchi (il famoso “sorriso Pepsodent”), sfruttando il desiderio di bellezza, e alla sensazione di bocca pulita identificata dal pizzicore lasciato dalla pasta (di cui gli altri dentifrici in commercio erano privi).


Attraverso una campagna pubblicitaria mirata, Hopkins riuscì a collegare il segnale (patina) alla ricompensa (denti bianchi e sensazione di pulizia), instillando nelle persone il desiderio di utilizzare Pepsodent quotidianamente. Il ciclo dell’abitudine era stato innestato.
Il fatto che il dentifricio non fosse davvero necessario per rimuovere la patina, e che il pizzicore fosse merito solo di additivi appositamente aggiunti, non ha avuto alcuna importanza. Tanto che un secolo dopo associamo le identiche caratteristiche a un dentifricio funzionale e gradevole. Volete la prova? Comprate un dentifricio medicinale e poi ditemi se vi piace.

1948

C’è un'altra storia interessante che insegna le stesse cose partendo dal presupposto contrario: il caso del fallimento di Febreze, lo spray elimina odori targato Procter & Gamble, a metà degli anni Novanta. Lo spray, seppur efficace, non riusciva a decollare. Le ricerche di mercato rivelarono che le persone abituate ai cattivi odori, come fumatori e proprietari di animali domestici, non percepivano tali odori, e perciò nemmeno la necessità di utilizzare Febreze per scacciarli. In altre parole mancava il segnale che innescasse l'abitudine, e perciò il desiderio associato al suo utilizzo.
Con ulteriori ricerche l’azienda osservò che molte persone provavano un senso di soddisfazione nel completare le pulizie domestiche. Decise quindi di riposizionare Febreze come "tocco finale" delle pulizie: modificò la formula per ottenere un aroma più intenso e lanciò una nuova campagna pubblicitaria che associava l'uso dello spray alla sensazione di freschezza e pulizia. Funzionò. D’altra parte chi non ha desiderio di una casa profumata?


Per creare un'abitudine in effetti non basta individuare un segnale e associarlo a una ricompensa: è necessario desiderare la gratificazione, cioè associarla a un'emozione positiva. Man mano che entriamo in un ciclo di abitudine, il nostro cervello inizia ad aspettarsi la ricompensa. E se arriva in ritardo, o non arriva, causa in noi frustrazione. Più l’abitudine è radicata, più è difficile riuscire a distrarci dall’aspettativa.
Quando l’aspettativa della gratificazione diventa essa stessa il segnale di innesco, siamo in un loop.


Gli studi sulle abitudini sono alla base delle strategie di mercato che da sempre manipolano i gusti dei consumatori a fini commerciali. Conoscerli, anche se non ci renderà immuni, può essere utile a farsi un po’ più furbi.


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