PERCHÉ "THE SUBSTANCE" CI DICE CIÒ CHE NON VOGLIAMO SAPERE (IL MIGLIOR FILM DEL MIO 2025)
Cioè che invecchieremo e moriremo, che ci piaccia o no.
Non c’è capitale accumulato, numero di like ricevuti, o nel caso di Elisabeth Sparkle in The Substance, magazine e programmi TV in cui far risplendere la propria immagine perfetta, che possa evitare il degrado del nostro corpo e della nostra mente, un giorno alla volta, fino a disfarci nel nulla.
Non si scappa. Nemmeno se sei Trump o una popstar “con tutte le misure al posto giusto”.
Il punto, allora, è: come ci arriverai, alla fine?
Il tradizionale post di fine anno lo dedico al miglior film del mio 2025, diretto da Coralie Fargeat, con Demi Moore, Margaret Qualley e Dennis Quaid.
«Qualcuno va incontro alla morte pieno d’ira: solo chi vi si è preparato a lungo, ne accoglie lieto l’arrivo.»
Seneca
Se oggi morire sembra così terribile, così inaccettabile, è perché non concludiamo più la vita in maniera sensata: invecchiamo senza diventare anziani, cerchiamo la giovinezza eterna nel corpo e tentiamo di non invecchiare con la mente. Con ogni mezzo in nostro potere.
Se il valore più alto è la sopravvivenza, tutti gli altri valori della vita passano in secondo piano, compreso quello di godere di una buona vita. Assolutizzare la sopravvivenza trasforma la vita in una mera funzione. C’è una creatura che tutti conosciamo, priva di una vera e propria vita, la cui esistenza è volta solo a moltiplicare se stessa: il virus. L’agente Smith di Matrix potrebbe avere ragione.
Con la sopravvivenza, assolutizziamo il benessere, la felicità a tutti i costi. Il che significa eliminare il dolore dall’equazione della vita: perché da quando le cose dolorose o semplicemente scomode ci rendono felici?
Oggi il dolore viene visto come un male insensato, un supplizio da affrontare ed estirpare rapidamente. La nostra cultura è terrorizzata dal dolore e ci invita a evitare qualsiasi circostanza di confronto che possa rivelarsi disagevole, anche in ambito sociale.
La società della positività vuole sbarazzarsi di tutto ciò che è negativo. Evitiamo i pensieri negativi e sostituiamoli con il pensare positivo, come nel vecchio tormentone di Jovanotti. L’immediata conseguenza è dire no a qualsiasi fatica, a qualsiasi sforzo ci venga richiesto per raggiungere qualsiasi obiettivo. Comodità e accessibilità innanzitutto: così possiamo non solo essere sempre felici, ma anche comodi e ottimizzati.
Ogni cosa deve essere lucidata finché non suscita l’approvazione unanime. Secondo il filosofo coreano Byung-Chul Han, il like dei social media è un emblema della nostra epoca: la vita instagrammabile è infatti la vita priva di quegli spigoli che potrebbero provocare dolore, disagio, sforzo.
In questa ideologia di benessere, dove il dolore è debolezza, a dettar legge è la performance. E pur di essere performanti, è lecito ricorrere ai farmaci, che trattano il dolore da un punto di vista esclusivamente medico come, appunto, un cancro da estirpare.
Nel mondo di The Substance, ovvero il nostro, il mondo dell’intrattenimento a tutti i costi (l’infinite jest di David Foster Wallace), invecchiare e imbruttire sono un male imperdonabile. Un male di cui non solo il network televisivo accusa Elisabeth Sparkle, ma Elisabeth Sparkle accusa se stessa. Non c’è dolore più grande, più ingiusto. Così Elisabeth ricorre alla “sostanza”, che in un modo assai contorto (che non svelo) le permetterà di tornare ottimizzata e performare di nuovo. In TV e nella vita.
«Se a uno è capitato che la vecchiaia lo allontani lentamente dalla vita, senza strapparlo all’improvviso, ma sottraendovelo a poco a poco, non deve ringraziare tutti gli dei?»
Seneca
Nei prossimi secoli è probabile che il substrato biologico della sofferenza verrà sradicato. L’esperienza della noia, della depressione, del dolore emotivo, sarà fisiologicamente impossibile. Almeno, questa è l’ambizione del transumanesimo: donarci una felicità onnipervasiva, in un modo o nell’altro.
Il dolore, però, funge da anticipo della morte, quel “memento mori” che ci ricorda il nostro limite più grande e invalicabile. La società della positività sta meticolosamente rimuovendo la morte dalla zona anestetizzata di benessere. Ecco perché la pandemia Covid, che ha reso di nuovo la morte qualcosa di tangibile, quotidiano e misurabile, ci ha reso così nervosi.
Chi vuole abolire ogni dolore dovrà anche abolire la morte. Ma come ci insegnano le grandi storie sui vampiri, una vita senza morte non è umana, bensì non morta. Una differenza non da poco.
Come ben sappiamo, purtroppo non si può campare con una dieta fatta di soli zuccheri. Allo stesso modo, un’esistenza senza dolore è impossibile perché innaturale. La negatività è propria del pensiero umano, è ciò che lo distingue dall’algoritmo. Il processo con cui pensiamo è di per sé uno sforzo (dove sforzo = fatica = dolore). Approfondisce il pensiero, genera uno sguardo diverso. Per l’essere umano, il mistero e l’impossibile sono fondamentali, perché sono i processi con cui giunge, tra le altre cose, all’accettazione della propria mortalità.
Siamo però immersi in una società digitale il cui motto è “trasparenza”. I dati non hanno alcun lato nascosto, alcun mistero, e una volta trasformato in dati, il mondo stesso diventa trasparente. La morte e l’invecchiamento non rientrano nell’ordine digitale, che vuole ogni cosa accessibile e consumabile. Ecco perché la digitalizzazione è considerata un anestetico, un infinite jest, citando ancora Wallace.
Ma, anestetizzati o no, a quel momento ci arriveremo. E allora, che si fa?
Vorrei poter dire che saremo più saggi di Elisabeth Sparkle, ma ahimé no, non andrà così. Al suo posto, faremmo tutti come lei. Elisabeth Sparkle siamo precisamente noi in questo momento della civiltà umana.
Questo è ciò che The Substance ha da dire su di noi. E scusate se è poco.
È un film più unico che raro, difficile, coraggioso, radicale, come l’arte può e deve essere (e guarda caso, scarseggia sempre di più). Dietro la critica di superficie al mondo depravato dello show business e alla nostra sete di celebrità (che cela in sé il desiderio di immortalità), ci sbatte in faccia quello che a mio parere è il problema più radicato nella società digitale contemporanea. Non so in quanti l’abbiano davvero colto.
Recuperatelo. Guardatelo. Compratelo.
Postilla cinefila. Sembra inevitabile affiancare The Substance al David Cronenberg degli anni ’80, per la questione del body-horror, ma Cronenberg non è mai stato così politico fatto salvo in Videodrome. A mio giudizio la forza di questo film è più vicina a Essi vivono di Carpenter, o anche, udite udite, a Inside Out della Pixar, che coi suoi modi simpatici rivela la sconcertante verità sul modo in cui funzioniamo all’interno, cioè che siamo mere macchine biologiche.
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