CSN: LIVE IT UP (1990)
Solitamente non è bene giudicare un disco o un libro dalla copertina. In questo caso, però, Crosby, Stills e Nash nello spazio che mangiano wrustel – è questa più o meno l'idea che suggerisce, sbaglio? – non si fanno prendere molto sul serio.
Che sia il punto più basso della loro
discografia è fuor di dubbio, tuttavia non lo si può bollare come
spazzatura punto e basta. Non sono tanto le canzoni ad affossare
questo album, metà delle quali pregevoli (anche se spesso scritte in
collaborazione o da terzi): la colpa è del sound.
Siamo tra il 1989 e il 1990 e al trio non è bastato lo scarso successo di American Dream (CSN&Y, 1988) per decidere di tornare al sound trasparente che li caratterizzava ai bei tempi. No, Live In Up è un passo in più nella direzione sbagliata risultando molto peggio del precedente. Col senno - anzi l'orecchio - di oggi queste canzoni suonano alla stregua di una composizione in midi, non so se mi spiego. Fortunatamente CSN sono rinsaviti subito dopo, e nel 1994 li ritroveremo con il bello After The Storm (titolo quantomai azzeccato).
Siamo tra il 1989 e il 1990 e al trio non è bastato lo scarso successo di American Dream (CSN&Y, 1988) per decidere di tornare al sound trasparente che li caratterizzava ai bei tempi. No, Live In Up è un passo in più nella direzione sbagliata risultando molto peggio del precedente. Col senno - anzi l'orecchio - di oggi queste canzoni suonano alla stregua di una composizione in midi, non so se mi spiego. Fortunatamente CSN sono rinsaviti subito dopo, e nel 1994 li ritroveremo con il bello After The Storm (titolo quantomai azzeccato).
Un brano pregevolissimo, per esempio, è
“House Of Broken Dreams” di Nash: si staglia nitidamente in mezzo
agli altri ed è l'unico a non essere distrutto dalla veste sonora.
Un'altra bella composizione è “Haven't We Lost Enough?” (“Non
abbiamo perso abbastanza?” Stavolta sì, decisamente!) di
Stills, la cui chitarra sembra suonata in una navicella spaziale, ma
se facciamo lo sforzo di immaginarla dal vivo in formato chitarra e
voce, diventa interessante. Meriterebbero una seconda chance “Yours
And Mine” e “Arrows” (cantate da Crosby), “If Anybody Had A
Heart” e “After The Dolphin” (Nash), “Tomboy” (Stills).
Nelle note all'interno dell’antologia
Reflections, Nash racconta che il Dolphin (dell'omonima
canzone) era un pub di Londra colpito dalle bombe della Prima Guerra
Mondiale. “House Of Broken Dreams” deriva invece dal nomignolo
dato da David Gilmour (Pink Floyd) alla casa al mare di Nash.
Sul resto, inclusa
la title track (che richiama molto “American Dream”) si può
benissimo sorvolare (e specialmente su “Got To Keep Open”, brano
la cui oscenità equivale a quella della copertina). In
definitiva, seppur lontani dalle emozioni dei '70 e dai nuovi, ottimi
brani che verranno nei '90, qui CSN sarebbero stati comunque da
due-tre stelline, purtroppo decimate dalla terrificante
realizzazione. Per fortuna le canzoni migliori hanno avuto un'altra
chance (anche se la versione è la stessa) nel contesto dei box-set
antologici: “Arrows” è presente in Voyage di Crosby e ben
tre di Nash sono presenti nel suo Reflections. Personalmente,
quando le sentii per la prima volta pensai fossero buone quasi quanto
tutto il resto (nonostante l’ostico sound anni '80). Il fatto che
questi box set valorizzino la musica che contengono, in particolare
quella meno famosa e più sparpagliata, è un valore importante che
li rende un must (quindi optate per quelli piuttosto che
acquistare Live It Up).
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Concordo su tutto. A me comunque la "Non abbiamo perso abbastanza?" di Stephen piace molto anche in questa versione. Di soito sono prolisso ma in questo caso penso che spendere altre parole sia inutile anche perchè probabilmente cariche disprezzo per un disco decisamente inutile!
RispondiEliminaZuma@67