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SIMAK: CAMMINAVANO COME NOI (CI DISTRUGGIAMO DALL'INTERNO)



Se avete letto il trittico Oltrel'invisibileAnni senza fine (o City) L'anello intorno al Sole, di cui ho parlato in precedenti articoli (cliccate sui titoli per recuperarli, se vi aggrada), dovreste proseguire il vostro cammino sulla strada della bibliografia fondamentale di questo autore e soffermarvi su Camminavano come noi (1962). Questo romanzo, anche se meno noto, costituisce un momento di cambiamento nella poetica di Clifford Simak, un passo che lo proietta verso quel radicale punto di svolta che sarà Infinito nel 1967. La transizione rispetto ai predecessori si avverte sia nello stile, per esempio nell'abbracciare una narrazione in prima persona, sia nelle tematiche, meno idilliache e sicuramente meno impregnate di ottimismo.
La storia è una variazione sul tema dell'invasione extraterrestre, che questa volta l'autore affronta in versione pessimista. Una razza aliena dalla biologia sconosciuta e incomprensibile, la cui semplice rappresentazione risulta impossibile per gli umani, vuole “acquistare” la Terra. Un giornalista si trova a scoprire i piani segreti di un manipolo di alieni che si spaccia per esseri umani allo scopo di agire in mezzo a noi per soggiogare il nostro sistema politico ed economico. Un vero e proprio inside job da parte di simulacri, un lavoro dall'interno per distruggerci.


Se in altri testi Simak ambiva a raccontarci di nuove possibilità al di là della conoscenza umana offerte dall'universo e dalle intelligenze che lo popolano (come nei romanzi già citati o anche in La casa dalle finestre nere), in questo romanzo suggerisce con una certa ironia che il nostro sistema di vita, un mondo costruito su interessi materiali, sia un'arma a doppio taglio che può essere rivoltata contro di noi fino a condurci sull'orlo dell'apocalisse. Tema, peraltro, che sarà centrale anche nel successivo Il villaggio dei fiori purpurei.
Non serve scomodare un manipolo di alieni per svolgere un lavoro dall'interno che ci autodistrugga: potremmo riuscirci benissimo da soli. Probabilmente lo stiamo già facendo. Simak riesce a essere all'avanguardia e reggere la prova del tempo almeno nei suoi concetti fondamentali. 
Il finale offre una parvenza di speranza, sì, ma allo stesso tempo anche un notevole margine di dubbio. Se consideriamo le opportunità di redenzione che l'autore ha concesso all'uomo, in varie maniere, in tutte le sue storie di questo periodo, Camminavano come noi rivela chiaramente che la visione speranzosa di Simak è in progressiva diminuzione.
Per la stessa ragione il romanzo si allontana un po' da quel senso di misticismo che impregnava i suoi testi precedenti, e certamente non raggiunge lo stesso livello di originalità del trittico sopra citato, ma rimane un altro tassello emozionante dell'opera simakiana, ricco di osservazioni sul nostro mondo che lo mantengono acuto anche a distanza di mezzo secolo.



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