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P. K. DICK: UBIK (IO SONO VIVO, VOI SIETE MORTI)



1992. Il magnate indutriale Runciter, costantemente minacciato da una concorrenza spietata, assolda per proteggersi un manipolo di inerziali, cioè persone con speciali poteri mentali. È la moglie a consigliarlo: lei è deceduta da tempo, ma il suo cervello viene tenuto in semi-vita e può comunicare con l'esterno. Il gruppo, guidato da Joe Chip, viene coinvolto in un attentato nel quale Runciter ha la peggio. A partire da questo momento, Joe si accorge che intorno a lui il mondo inizia a regredire, a tornare indietro: i cibi inacidiscono, le auto e le intere città tornano a com'erano nel passato. L'unica forza per contrastarla è un misterioso prodotto chiamato Ubik. Altrettanto pazzeschi sono i messaggi di Runciter che Joe inizia a trovare dietro le bustine di fiammiferi, nei bagni pubblici, e in altri posti inspiegabili. Aiuteranno Joe a capire che la sua realtà non è più quella di prima.
Ubik, realizzato nel 1968, è probabilmente il romanzo più stratificato e complesso di Philip K. Dick. Dico subito che la sua complessità non ostacola la lettura: la storia è lineare, mentre lo stile... beh, è quello di Dick, con tutti i suoi pregi e difetti. Il fatto è che Ubik apre una moltitudine di domande, interpretazioni e spunti di riflessione, e lesina nelle risposte, e forse è proprio questa la virtù che gli permette di essere senza tempo. Il tempo, tra l'altro, è uno dei temi del romanzo, che affronta o quantomeno sfiora argomenti davvero enormi e di valore universali: il rapporto tra l'uomo e l'oggetto, l'aldilà, l'eternità. Ubik è soprattutto un gioco di specchi, un testo che almeno nell'ultima parte diventa metaletteratura, suggerendo al lettore la presenza di livelli di realtà diversi, uno dentro all'altro (o uno di fianco all'altro?).
L'ubiquità ("ubiquity" in inglese), da cui il titolo, è la facoltà di essere contemporaneamente in ogni luogo che si attribuisce alle divinità. Già questo potrebbe suggerirci che la connessione tra la realtà in cui il romanzo ha inizio (quella di Runciter e degli inerziali), la realtà della semi-vita in cui si trova la moglie di Runciter, e l'ultimo livello di realtà che Dick ci indica al termine del romanzo, siano il mezzo con cui l'essere umano ha raggiunto quanto di più vicino esista all'ubiquità, al vivere esistenze su piani diversi potenzialmente eterne. Almeno nei limiti dei suoi poteri terreni.
Dick esplora i limiti della conoscenza, stimolato anche dalle teorie kantiane con cui simpatizza, consapevolmente o meno. D'altra parte Dick stesso ha evidenziato (soprattutto nei testi che compongono l'Esegesi) che la sua produzione letteraria ambisce, più che all'arte, a indagare due questioni fondamentali: che cos'è la realtà e che cosa caratterizza l'essere umano autentico. La nostra percezione di ciò che siamo e di ciò che è reale non è indicativa di una "realtà assoluta", ma soltanto di ciò che la nostra mente interpreta come tale. Nell'ultima fase dickiana questi interrogativi si fanno sempre più predominanti e ossessivi. Alla fine degli anni 70 (trent'anni in anticipo su Matrix, a proposito...) lo scrittore era convinto di vivere in una realtà simulata al computer, creata da qualcun/qualcos'altro (guardate questo filmato per esempio).
Nel più inquietante messaggio che Runciter lascia a Joe, ovvero «Io sono vivo. Voi siete morti», c'è sia il tentativo che l'impossibilità di sedere nella posizione più altolocata, sul trono assoluto da cui poter guardare tutti dall'alto in basso.


Parlando di realtà e quindi di tempo, Ubik affronta piuttosto esplicitamente il discorso sull'aldilà, il rapporto tra l'uomo e il suo tempo limitato, unidirezionale, che lo spinge verso la morte. Qualcuno ha detto che Ubik rappresenta un sorta di elogio della regressione, del ritorno all'infanzia, allo stato idilliaco di nulla da cui proveniamo, e questo è in parte vero perché i protagonisti esprimono questo desiderio. Tuttavia nel momento in cui le cose iniziano a devolvere e le persone a scomparire, questa situazione viene vissuta come negativa. Il "prodotto" Ubik, che Joe, grazie all'intervento di Runciter, ritrova sotto forma di oggetto (spray o altro), serve per contrastare il processo degenerativo.
Non sono così convinto si tratti di un elogio, semmai dell'ennesimo interrogativo. Se assumiamo che la realtà in cui Joe e gli inerziali si ritrovano di punto in bianco sia una sorta di limbo o purgatorio, uno spazio temporaneo, viene abbastanza naturale paragonare il fenomeno di regressione/scomparsa (o non-nascita) all'attraversamento finale verso l'aldilà, affascinante e terrorizzante al contempo. Sul fronte opposto, Ubik/Runciter sono la forza contraria, il richiamo alla vita, a restare.
Infine, l'apparizione di Ubik sotto forma di prodotti di consumo (come l'ormai iconica bomboletta spray), nonché tutto il processo che devolve oggetti e città riportandoli a modelli del passato, rappresentano il modo in cui Dick vuole dirci che la società del consumo, i beni materiali, le merci, tutto ciò che riempie (e consente, per certi versi) le nostre vite, è diventato più potente e durevole della vita stessa. In altre parole, la merce sopravvivrà all'uomo, nonostante o forse proprio in forza del legame ai limiti del grottesco che li lega.
Nel mondo immaginato da Dick in Ubik, che come al solito non è certo un mondo dove ci piacerebbe vivere, persino entrare e uscire da casa propria ha un costo. Così all'inizio del libro vediamo Joe, che è senza quattrini, litigare con la porta del suo appartamento. Non lo farà passare a meno di ricevere dieci centesimi. In questa scenetta quasi surreale c'è tutta l'ironia tagliente dello scrittore.
Ci troviamo di fronte a uno dei testi chiave non soltanto della carriera di Dick, ma dell'intero panorama del fantastico novecentesco. Le mie parole non possono che offrire uno spiraglio della sua potenza e dare un piccolo aiuto nel districarsi tra le sue pagine, ma l'esperienza di lettura di Dick è unica nel suo genere.


 

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