KING: JOYLAND (2013), RITORNO ALLA MALINCONIA ESISTENZIALE
Ogni tanto capita, nel periodo che intercorre tra l'uscita di due romanzi voluminosi e potenzialmente classici, che King ci infili in mezzo un libro più modesto in termini di pagine e di premesse, quasi a voler colmare un imperdonabile buco. Nel 2006 c'è stato Colorado Kid (2006), adesso è la volta di Joyland, che si infila appunto tra 22/11/63 e Doctor Sleep, due tomi importanti e piuttosto celebrati del nostro autore del Maine. Joyland è uscito negli USA per la Hard Case Crime, casa editrice specializzata in gialli e mistery vecchia maniera, che ha pubblicato il libro nel formato tascabile d'epoca, proprio com'era stato per Colorado Kid. Entrambi strizzano l'occhiolino a generi letterari ben precisi. (In Italia abbiamo una bella edizione della Sperling & Kupfer che però non valorizza questo aspetto essendo uguale a tutte le altre prime edizioni cartonate).
L'approccio al romanzo dovrebbe quindi essere del tipo “prendiamoci
una pausa dal solito King e vediamo come ha deciso di divertirsi
questa volta”, sapendo che probabilmente ci divertiremo pure noi.
King ha spiegato di aver voluto addentrarsi nel giallo, una
sua vecchia passione, seguendo quella linea invisibile
che conduce al colpevole, ma senza ricondurre il tutto a uno schema
preconfezionato (al finale e al colpevole, racconta, li ha scoperti pure lui solo al termine della scrittura).
Date
le premesse (e ricordando vagamente il caso di Colorado
Kid), ho approcciato Joyland
con una certa leggerezza, ritenendolo un libro
minore. Dopo venti pagine ero già di tutt'altro avviso, e non solo per l'ormai nota capacità di King di incollarti alla pagina.
Joyland rientra a pieno titolo tra i romanzi kinghiani "canonici" perché, pur imbastiti in modo veloce e sintetico, quasi da adattamento cinematografico, vi sono molti dei temi che l'autore affronta abitualmente. Elementi che riconosciamo come i capisaldi
della sua poetica, del suo stile, e che hanno fatto grandi le sue
opere più celebri, da Misery
a Cuori in Atlantide, alla
saga della Torre nera.
Sono delicati, qui, data la delicatezza della narrazione in prima persona del protagonista. Se King voleva solo divertirsi con
un giallo vecchia maniera, beh, non è riuscito nell'intento. Ha fatto molto di più: Joyland è puro King, inclassificabile se non nel fantastico tout court.
Gli slogan
pubblicitari del romanzo parlavano di un fantasma che infesta la
giostra di un luna park. Falso! La solita pubblicità che
rimesta ancora nell'etichetta “Re dell'horror”, e che oramai fa
più danno che altro. Senza spoilerare nulla, vi dirò che
di fantasmi c'è appena una menzione. Ben più rilevante è invece un vecchio omicidio avvenuto nel passato, il
filo che porta avanti la storia dal momento che Jonesy, il protagonista, si ritrova coinvolto.
Jonesy racconta la sua irrequietezza adolescenziale, le pene d'amore, e un'importante e surreale esperienza vissuta al parco di
divertimenti di Joyland. Nella narrazione troviamo lo stesso sense
of wonder che caratterizza Cuori
in Atlantide e Il miglio verde, anch'essi
ambientati in un'altra epoca. Qui siamo negli anni Settanta e tutto,
cose belle o brutte che siano, è cosparso di una sorta di polverina
dorata che lo rende magico e più significativo.
Ritroviamo l'atmosfera incantata (e infestata) di luoghi
geograficamente potenti, come in Mucchio d'ossa.
Ritroviamo, seppure di sfuggita, l'esistenza di poteri fuori dall'ordinario: un bambino
paraplegico dotato di precognizione e capace di
comunicare con altre realtà. Un dono “molto più lieve
di altri personaggi di cui ho scritto” dice King, ma il messaggio alle orecchie dei Fedeli Lettori è chiarissimo: "ci sono altri mondi oltre a questo" e ci saranno sempre.
Ritroviamo naturalmente la follia, la violenza, l'omicidio,
l'ipocrisia. C'è
un lato del mondo che è peccatore e perduto, barricato dietro false
religioni, o meglio religioni distorte in modo malsano. Ritroviamo il dover fare i
conti con la morte, la perdita, il mistero dell'aldilà e il
disperato bisogno di risposte, che King non ha la presunzione di fornire: ci lascia soltanto degli indizi invitandoci a credere, per un momento, anche a ciò cui normalmente non crederemmo. La disperazione di
un ragazzo abbandonato da tutti nel pieno dell'età in cui si
diventa adulti, che affronta dubbi di carattere esistenziale come tutti quanti abbiamo fatto, una volta o l'altra. Ecco, questo è il cuore di Joyland.
Capite bene, perciò, che la soddisfazione di aver saputo il
colpevole dell'omicidio è poca cosa in confronto alla ricchezza del resto. Un libro minore? No davvero. Un divertissment
di genere? Men che meno! È solo un libro "lieve", delicato, lineare, una
sceneggiatura che sintetizza tematiche ampiamente esplorate in epopee ben più grandi. Un buon modo, mi sembra, per approcciare King come prima volta.
Retrospettiva King:
22/11/63: c'è sempre una porta da varcare
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