BALLARD - II - TECNO-SOCIO-PSICOSI
Nota: tutta la Retrospettiva Ballard è in fase di ampliamento e
revisione; tutti i post saranno ripubblicati con nuovi contenuti.
Crash (1973) è il punto di arrivo di un percorso atto a indagare la condizione umana moderna che non poteva arrivare se non dopo le “sperimentazioni” attuate nei libri precedenti. Capitolo dopo capitolo seguiamo James, il narratore (che ha lo stesso nome dello scrittore), rimettersi da un brutto incidente d'auto e incontrare Vaughan, sorta di mentore con cui condivide le stesse, estreme ossessioni. Insieme passano attraverso automobili, strade, incidenti, corpi di donne: tutto ciò che li ossessiona e li rende vivi. James e Vaughan sono una sorta di estremo postmoderno di Jack Kerouac e Neal Cassady, agli antipodi del loro “sogno americano di ribellione”. La narrazione, in prima persona, è portata avanti dalle osservazioni di James: ogni cosa è filtrata attraverso la sua visione in una cadenza catartica.
Crash (1973) è il punto di arrivo di un percorso atto a indagare la condizione umana moderna che non poteva arrivare se non dopo le “sperimentazioni” attuate nei libri precedenti. Capitolo dopo capitolo seguiamo James, il narratore (che ha lo stesso nome dello scrittore), rimettersi da un brutto incidente d'auto e incontrare Vaughan, sorta di mentore con cui condivide le stesse, estreme ossessioni. Insieme passano attraverso automobili, strade, incidenti, corpi di donne: tutto ciò che li ossessiona e li rende vivi. James e Vaughan sono una sorta di estremo postmoderno di Jack Kerouac e Neal Cassady, agli antipodi del loro “sogno americano di ribellione”. La narrazione, in prima persona, è portata avanti dalle osservazioni di James: ogni cosa è filtrata attraverso la sua visione in una cadenza catartica.
Crash mette in scena la psicosi:
è puramente mentale e non c'è niente di fantastico nel suo
scenario, la città Londra, nella quale i protagonisti si muovono
alienati come non mai. Lo stile e le descrizioni sono ferocemente
mediche e anti-etiche. La morale di Crash è proprio questa:
l'unico “fantastico” risiede negli artifici del nostro vivere e le tecnologie che ci circondano (l'auto, per l'epoca del romanzo, era un simbolo importante dei progressi della tecnologia "alla portata di tutti"; oggi si può tracciare un parallelismo con le tecnologie domestiche e informatiche) stanno spingendo i limiti più in là e ci impongono ordini d'idee diversi, nuove etiche, nuove regole, nuovi desideri.
L'auto è stato uno (forse il più
grande) dei simboli tecno-socio-sessuali del XX secolo (nel '73
Ballard non era in errore nel vederci lo status-symbol per
eccellenza). Poi c'è il paesaggio mediatico, che in Crash è
sottinteso ma è come un manto nuvoloso incombente (per esempio la messa in scena delle
morti delle celebrità). Ci sono le strade urbane e l'eterno flusso
di traffico che è, di fatto, il sangue che fluisce nelle vene del
tessuto urbano, del mondo occidentale. Se prima la simbologia di
Ballard si riferiva alla natura, ora gli occorre il paesaggio
decadente metropolitano per descrivere la desolazione e l'alienazione
dell'individuo (senza più ritorno ad alcuna dimensione naturale).
Probabilmente è meglio leggere Crash
dopo aver toccato almeno le tappe fondamentali dell'opera precedente
di Ballard. Preso singolarmente e senza conoscere l'autore, rischia
di essere una grossa batosta e, soprattutto, di essere letto
superficialmente, così come fu frettolosamente censurata l'ottima
trasposizione cinematografica di David Cronenberg.
L'isola di cemento (1974) più
che un romanzo è un racconto lungo. “Io sono l'isola” ripete
spesso Maitland, un comune impiegato londinese che esce di strada con
l'auto e finisce in un'isola spartitraffico celata sotto i viadotti e
da cui sembra non esistere uscita. Febbricitante e malridotto, alla
rassegnazione iniziale verso la sua condizione subentra presto la
visione di una nuova opportunità: l'isola come una nuova vita e
un'inedita esplorazione all'interno di se stesso. Sempre in bilico
tra il desiderio di aiuto e fuga e quello di esser parte per
sempre di quel piccolo suo mondo, che continuamente gli si
rivela in nuovi aspetti, Maitland si imbatte in altri due reietti
che vi si rifugiano: un trapezista ritardato e una prostituta.
Nel disegno delle alienanti relazioni
tra i personaggi, nelle circonvoluzioni dei pensieri e delle azioni
del protagonista, nel finale (quasi) aperto, Ballard ci dà molte più
risposte di quanto sembri. Utilizza al meglio la sua scrittura puntuale, immediata, tracciando senza fronzoli la “novella” che
fonde insieme paesaggi e ossessioni di Crash e della sua
narrativa precedente. Il paesaggio artificiale (l'isola
spartitraffico, i viadotti, il costante riferimento al traffico, i
condomini lontani) e la sua decadenza diventano simbolo della
desolazione dell'anima, così l'isola-prigione diventa il luogo della
scoperta psichica, di una “nuova vita” al di fuori (e al di sopra) delle regole comuni.
Si può quindi vedere L'isola di
cemento come l'episodio più diretto e accessibile nella triade
Crash-Isola-Condominio, quasi un atto teatrale che fa da sunto della poetica ballardiana fino a questo momento.
Il condominio (1975) è un'opera
sconvolgente, uno degli apici di Ballard per tema e scrittura. Lo scenario è un elemento futuristico, costituito solamente di spazi chiusi: una
grande città verticale, terreno ideale per la sua
azione-esperimento. Il condominio di duemila abitanti, appartenenti alla Londra aristocratica, per evoluzione
naturale diviene un microcosmo in cui si sviluppa un nuovo stadio di civiltà. La
cosa inizia come una regressione brutale a uno stato primitivo e
violento: i condomini si menano per il cibo, si tendono trappole come
fossero nella giungla, stuprano per soddisfare i bisogni sessuali. I
vari piani dell'edificio scindono classi sociali, stili di vita e
ideologie. Ma si tratta solo di un momento di transizione necessario
per raggiungere il nuovo equilibrio, condizione ideale priva di
schemi preconcetti dove ognuno semplicemente è. Il messaggio
che Ballard intende esprimere si erge alto e limpido: l'uomo mira a una nuova condizione di vita, uno stato al
di sopra dei normali schemi sociali ed etici, un nirvana, un paradiso
dei piaceri e degli istinti. In parte è costretto da pressioni esterne in quella direzione, ma in larga parte è un volontario desiderio di scoperta, l'ambizione di superare i propri limiti fisici e quelli etico-sociali imposti dal sistema tradizionale.
La genialità prettamente letteraria
sta nel fatto che Ballard scrive una non-storia costruita
essenzialmente su situazioni, che ruotano attorno a tre protagonisti
distinti per ruolo sociale e punto di vista (abitano ad altezze
diverse del condominio). Riesce nell'intento di realizzare
una narrazione vorticosa e spiazzante, che richiede una seconda
lettura per essere assimilata: la fine-inizio e l'inizio-fine, senza
soluzione di continuità, le infinite sfaccettature, e quelle frasi grottesche da gelare il sangue.
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