JOE HILL: THE FIREMAN (2016)
The Fireman di Joe Hill, ovvero L'uomo del fuoco e L'isola della salvezza nell'infida manovra della Sperling per l'edizione italiana (suddivisa in due volumi e pertanto con costo doppio per il lettore), è un massiccio romanzo di quasi 800 pagine che rientra nel genere post-apocalittico. Una strana spora ha infettato gli esseri umani e il suo effetto è quello di provocare combustione spontanea, uccidendo i portatori infetti. L'infezione è incontrollabile, si diffonde nell'aria tramite la cenere e i fumi, e per questo l'umanità e la civiltà sono al collasso. L'infermiera Harper un brutto giorno scopre di essere infetta oltre che incinta. Suo marito, un fallito sotto molti fronti, impazzisce al punto di attentare alla sua vita. Così lei fugge e viene salvata da un uomo, “il pompiere” (il fireman del titolo), di nome John, piuttosto misterioso e in grado di controllare il fuoco che si annida sotto la sua pelle. Harper trova rifugio, grazie a John, presso una comunità nascosta in mezzo a una foresta, in un ex campeggio estivo. Qui gli infetti riescono a sopravvivere trasformando questa sorta di malattia in un potere che riescono a tenere a bada. Presto però la vita al campo si rivela molto meno rosea di quanto sembri all'inizio: più che una zona libera è una dittatura governata da malsane idee religiose. Poi, la distruzione del campo per mano delle squadre della morte a caccia di infetti, costringe Harper e John (e alcuni altri co-protagonisti) a un'ennesima fuga verso un destino incerto.
Il romanzo si suddivide in tre parti principali. All'inizio facciamo la conoscenza di Harper e della sua situazione personale e famigliare, che diviene via via più critica. Proviamo subito affetto per lei e odio per Jakob, il folle marito, fallito nelle proprie aspirazioni (di diventare scrittore) e incapace di affrontare l'emergenza. Sorta di Jack Torrance redivivo, Jakob è l'antagonista umano del romanzo, il vero mostro che minaccia sempre, fino alla fine, la vita di Harper e del figlio, potenzialmente sano e quindi simbolo di speranza e futuro. L'infezione è invece la “morte rossa”, il contesto estremo e critico in cui i protagonisti si trovano. Harper, John e i “buoni” di cui presto facciamo la conoscenza, si rivelano subito essere il ka-tet degli eroi (problematici, non privi di vizi, ma pur sempre eroi alla ricerca della soluzione positiva, simboli del bene che combatte fino all'ultimo briciolo di forza per impedire al male di soggiogare ciò che resta del mondo). In questi termini strutturali, il romanzo di Hill si colloca perfettamente nella rosa di opere a cui suo padre, Stephen King, ci ha abituato da decenni, dove il ciclo cosmogonico del bene e del male è lo sfondo e la ragione entro cui tutto si muove. Non a caso The Fireman, sin dall'annuncio dell'uscita, è stato paragonato a L'ombra dello scorpione di King (le analogie ci sono nel contorno post-apocalittico, ma i romanzi sono piuttosto distanti, almeno a parer mio).
Un impianto classico quindi, ma con un tocco personale. Hill non scrive proprio un'opera fantascientifica, né horror, né tanto meno action, sebbene qui e là vi siano momenti che sfiorano tutti e tre questi generi. A Hill, come papà Steve, piace scrivere soprattutto delle persone e delle loro relazioni. La seconda parte del romanzo, infatti, è anche quella più corposa e si focalizza sulle interazioni tra Harper, il pompiere e i membri più importanti del campo. Qui Hill disegna con pazienza il mondo in apparenza felice e pacifico di una comunità chiusa e indipendente. Un mondo in realtà subdolo e feroce, fatto di regole e sguardi e follia religiosa, parte di quel filone che vede protagonista le comunità o le cittadine inquietanti, tanto caro alla narrativa americana (pensiamo alle città maledette del gotico di Lovecraft, a quelle distopiche e totalitarie della fantascienza sociologica di Philip K. Dick, alle cittadine dello stesso King – Derry, Castle Rock, entrate nella cultura popolare come veri e propri meta-luoghi di riferimento – fino alle varie Twin Peaks dei film di David Lynch, e la lista sarebbe lunga).
Questo interesse costituisce sia un punto di forza che un punto debole di The Fireman. Nel primo caso perché eleva il romanzo al di sopra dei generi, che si evidenziano maggiormente nella prima e nella terza parte. Nel secondo caso perché la narrazione rallenta, si fa più prolissa, e Hill qui non è abile a sostenere i ritmi in modo ineccepibile come invece lo è il padre in circostanze analoghe. Con la terza parte, quando le carte vengono di nuovo rimescolate, l'attenzione risale. I protagonisti, sperduti nelle “terre desolate” del Maine ridotto in cenere, vagano anche in una narrazione dal sapore onirico, che ricorda un po' sia alcuni punti della saga della Torre Nera di King (tra parentesi, c'è un rimando alla bibita Nozz-A-La che fa l'occhiolino esplicitamente in quella direzione), sia quel capolavoro ultraterreno che è La strada di Cormac McCarthy (tra parentesi, menzionato esplicitamente proprio in questo punto da uno dei personaggi). In questa terza parte i nodi vengono al pettine come ci si aspetta, sebbene la furia vendicativa di Jakob sul finale sia un tantino esagerata: nei suoi panni io non mi sarei dato tanto disturbo. Risulta anche troppo evidente che la terza parte deve rispondere alle esigenze strutturali e al climax.
Il finale non è scontato: fino all'ultima pagina si teme il peggio e non c'è certezza. Secondo Hill, il libro affronta il tema della speranza e della felicità “in barba all'oscurità”. Con un simpatico colpo di coda, l'autore inserisce una sorta di easter-egg dopo i crediti delle canzoni nominate nel libro (una cosa che nessuno si ferma mai a leggere): se guardate bene c'è un ulteriore micro-finale, su cui non dirò niente.
Nel complesso The Fireman è un romanzo ambizioso che non raggiunge al cento per cento quanto si prefigge, a differenza del precedente, praticamente perfetto NOS4A2. Non è nemmeno un'opera innovativa, ma rimescola abilmente le carte dei generi mantenendosi fedele a una tradizione letteraria. Quello che lascia, alla fine, di certo è il piacere di aver letto una storia ben scritta, costruita su personaggi tracciati con spessore e una certa intelligenza, e su alcune belle ed evocanti immagini. E proprio per questa ragione pare un'opera importante per Joe Hill soprattutto (o forse soltanto: dipende dai punti di vista) in quanto rappresenta un passo ulteriore che lo porta vicinissimo alla mitologia creata del padre. Gli ingredienti kinghiani qui ci sono tutti: dalla scelta del soggetto al modo di gestirlo. Ci sono riferimenti espliciti che collocano questa storia nel multiverso di King (come già accadeva per NOS4A2). Sembra quindi che Hill intenda raccogliere il testimone del padre e ampliare la sua creazione. Tutto questo è molto gustoso, almeno per un Fedele Lettore kinghiano quale sono io, a patto che l'originalità stilistica di Hill resti intatta e distinta da quella di papà Steve. Insomma, è importante che non sembrino l'uno il ghost-writer dell'altro. Sotto questo aspetto The Fireman è inferiore a NOS4A2, ma lascia comunque ottime speranze per le prove future, quando Joe Hillstrom King avrà trovato definitivamente la sua strada.
Neanche a farlo apposta, il suo prossimo libro sarà una raccolta di quattro novelle dal titolo Strange Weather. E tutti i Fedeli Lettori sentono odore di Stagioni diverse... Si vedrà.
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Retrospettiva Stephen King - approfondimenti sui romanzi e collegamenti tra le opere
Ho letto i primi due romanzi di Hill e non mi hanno convinto del tutto ( Horns e La scatola a forma di cuore).
RispondiEliminaPrima o poi conto di recuperare anche gli altri.
NOS4A2 ce l'ho già in lista.
NOS4A2 è senza dubbio il migliore. La scatola a forma di cuore non è piaciuto neanche a me.
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