IA E CREATIVITÀ: LE MACCHINE CI HANNO GIÀ SUPERATO?
Mettiamola giù in un altro modo, citando Bradbury. Se la simulazione della creatività è indistinguibile dalla creatività stessa, o comunque ampiamente sufficiente per ottenere il risultato desiderato, ci prenderemo ancora la briga di essere creativi? O alzeremo le spalle dicendo ma chi ce lo fa fare? Perché essere creativi vuol dire conoscere e applicarsi, e richiede impegno.
Ecco il punto: non sempre il risultato è ciò che conta di più. Nel processo creativo a contare è innanzitutto il processo stesso. Una macchina – cioè una simulazione di creatività – non compie quel processo. Il suo risultato non deriva da alcun processo cognitivo, ma solo da un algoritmo con base statistica, perciò non ha alcun significato.
Si dice talvolta che in Il Signore degli Anelli di Tolkien il viaggio sia più importante della meta. Se in campo puramente narrativo di questo concetto potremmo parlare, è invece indiscutibile se si parla del processo creativo in senso lato. Perché il processo che porta a un determinato risultato, sia esso una storia, un saggio scientifico, un quadro o una semplice elaborazione concettuale (come questa), è qualcosa di qualitativo. L’ottenimento di un risultato senza alcun processo – o meglio da un assembramento statistico – è invece qualcosa di puramente quantitativo.
Dove sta quindi il problema quando si afferma, non senza un certo inorridito stupore, che l’IA sa già scrivere come, o addirittura meglio di, tale o tal altro autore o autrice? O comporre una canzone uguale o migliore di tale o tal altro musicista? Il problema sta a monte, ed è del tutto umano. Il problema nasce quando mettiamo sullo stesso piano l’output quantitativo dell’IA e il processo qualitativo di un essere umano. Ma questi non possono essere messi sullo stesso piano. Non possono essere valutati assieme o comparati, a prescindere dalla somiglianza dei risultati. Non stanno nemmeno sullo stesso pianeta.
Dunque, a parer mio la creatività è un settore in cui le macchine non possono, almeno per ora, competere con noi. Ma solo se ritorniamo ad attribuire valore ai processi. Perché glielo stiamo già permettendo, alle macchine, di competere: o meglio, ci stiamo convincendo che è già così. Sopraffatti da questa nuova meraviglia, stiamo smarrendo l’ago della bussola del valore. Dobbiamo tornare a guardare più ai processi creativi (e cognitivi) che alla velocità dei risultati, perché una ben misera parte delle sfide e dei traguardi della vita gira attorno a una formula di Excel e alla comodità con cui vogliamo ottenerla.
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