LA FELICITÀ DI FARE CIÒ CHE VOGLIAMO: TRA HUXLEY E RANDALL FLAGG



Come ho spiegato nel primo post di questa serie, il mondo immaginato da George Orwell in 1984 non è il nostro mondo. Quello in cui viviamo è un mondo caratterizzato più di ogni altra cosa dalla libertà, o per meglio dire, dall’idea di libertà. Il nostro mondo somiglia di più, e in modo sempre più preoccupante, al Mondo Nuovo teorizzato da Aldous Huxley. E forse un po' anche alla New Vegas di L’ombra dello scorpione di Stephen King.
La libertà di cui godiamo, anziché una vera emancipazione, è una forma inedita di coercizione. Oggi l’essere umano si concepisce come “progetto” in costante auto-reinvenzione e realizzazione, e ciò è di fatto una forma di prigionia più efficiente di quelle dove le sbarre sono manifeste, e di cui la Storia è piena.
In altre parole, viviamo una libertà falsa, illusoria. Secondo il pensiero del già citato filosofo coreano Byung-Chul Han, il “poter fare”, non imponendoci nulla, nemmeno dei limiti, genera in noi una coercizione maggiore del “dover fare” di stampo disciplinare. Siamo quindi preda di un meccanismo di auto-sfruttamento volontario, che fa di noi degli schiavi senza padrone (o meglio, rendendoci simultaneamente padroni e schiavi).
Non essendoci più una divisione tra sfruttato e sfruttatore, l’individuo è isolato e in lotta solo con se stesso, rendendo impossibile l’identificazione di un “noi” collettivo da cui potrebbe scaturire una resistenza utile a cambiare le cose. Chi fallisce non tende a mettere in discussione il sistema: si sente invece responsabile, prova vergogna, si vede come malato e di fatto si ammala davvero di patologie psichiche, non a caso oggigiorno dilaganti, come il burn-out.

Orwell e Huxley

Mentre in Orwell la rivolta dall’interno è possibile (e infatti avviene: è naturale ribellarsi di fronte a una costrizione, motivo per cui questo tipo di potere è considerato inefficiente), nel Mondo Nuovo di Huxley nessuno rinuncerebbe alla felicità di cui gode, perciò dall’interno non è possibile alcun germe di ribellione (nel romanzo deve subentrare un impulso esterno affinché avvenga). Il sempre maggior disinteresse nell’attivismo politico, in qualsivoglia attività culturale e nella frequentazione dei luoghi di aggregazione, come cinema e biblioteche, dimostra che l’umanità, oggi, sta percorrendo proprio questa strada: non siamo disposti a rinunciare al comfort, quindi non ci ribelleremo.
Continuando coi parallelismi letterari, tutto ciò non vi ricorda anche la New Vegas di Randal Flagg in L’ombra dello scorpione? La città del peccato era la città della libertà assoluta: tutti potevano fare ciò che volevano, senza limiti, e per questo tutti si credevano felici. Sul fronte opposto, la Boulder di Madre Abagail era la comunità del senso civico e morale, dell'ordine e del sacrificio: la strada giusta, ma difficile.

Libertà assoluta! La New Vegas di Randall Flagg

Purtroppo, nel nostro caso non c’è nessun altro, nessun esterno, che possa intervenire a nostro beneficio, salvo l’improbabile arrivo di una razza aliena saggia e benevola. Siamo soli, e se non apriamo gli occhi, spacciati. La libertà non è star sopra un albero, diceva Gaber, anche se alla luce dell'attuale società digitale, star sopra un albero potrebbe essere quanto più vicino a una forma di libertà davvero autentica e disinteressata.
Perché la nostra cosiddetta libertà è oggi strumento del mercato: non siamo noi a emanciparci, ma il capitale, che cresce e si riproduce grazie al nostro essere al suo servizio. Il mercato (capitale, denaro, consumismo, capitalismo: chiamatelo come volete) si pone sopra di noi alla stregua di un nuovo Dio a cui tutti, ammettendolo o meno, ci rivolgiamo.
In questo contesto, internet è un’efficientissima forma di controllo: parafrasando Han, un panottico digitale. Attraverso internet, l’informazione non ci viene estorta, siamo noi a offrirla di nostra spontanea volontà in nome di qualche bisogno interiore. Trasparenza e libertà di informazione sono gli strumenti che ci hanno trasformato in dati, utili a massimizzare produttività e crescita. Una delle conseguenze politico/sociali più dirette di questa conformità generale, è la trasformazione del cittadino, libero, in consumatore, passivo.
Questa è l’era della Psicopolitica, le cui armi sono proprio le tecnologie digitali: Big Data, social e smartphone. Approfondirò questo concetto nel prossimo articolo.



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