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P. K. DICK & ROGER ZELAZNY: DEUS IRAE (ALLA RICERCA DEL VERO DIO)

   

Su una Terra sconvolta da un conflitto nucleare nasce un nuovo credo che osteggia il cattolicesimo e le altre religioni: quello del Dio dell'Ira, un dio malvagio e torturatore. Personificazione di questo dio è l'uomo responsabile della crisi nucleare, tale Lufteufel, una figura alquanto misteriosa. Il protagonista di Deus Irae è l'uomo che va alla sua ricerca, Tibor. Lui è un Inc, cioè un “incompleto”, privo di braccia e gambe. Vive in una piccola comunità della provincia americana, è un pittore, e decide di partire per il suo personale pellegrinaggio di fede alla ricerca del Deus Irae. Vuole fotografare Lufteufel per dar prova della sua esistenza e ritrarlo poi in un affresco. La Chiesa tenta di impedirlo e invia due emissari per sabotare il suo viaggio, che lo porta a incontrare strane creature generate dalle radiazioni.
Deus Irae è diverso da qualunque altro libro della bibliografia dickiana. Da una parte è privo di una vera e propria appartenenza stilistica, essendo scritto a quattro mani con Roger Zelazny lungo un intero decennio. Dall'altra, però, lo scenario post-nucleare e le sue conseguenze psicopatologiche sono riconducibili al Dick di Cronache del dopobomba, da cui sembra riprendere anche il protagonista (là c'era Hoppy, un focomelico bio-meccanico che assumeva connotati divini; qui abbiamo all'incirca lo stesso personaggio alla ricerca di una risposta assoluta, cioè l'esistenza in carne e ossa del Deus Irae). 
La presenza di Zelazny alza ancora di più i toni mitologici e teologici, piuttosto onnipresenti nel suo lavoro.

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La premessa, come si sarà intuito, è di grande potenza, tuttavia gli autori non ne sprigionano appieno le potenzialità. La seconda metà del romanzo si dilunga sul conflitto tra Tibor e i due scagnozzi della Chiesa, popolando nel frattempo lo scenario di creature grottesche e sprazzi di idee originali. Il ritmo non decolla mai.
Deus Irae risente soprattutto della lunga e faticosa gestazione. Si nota fin troppo la spaccatura tra la prima parte del 1964-65, che Dick trae da un racconto precedente (Il grande C) ma poi lascia incompiuta (sembra per via delle sue lacune sul Cattolicesimo), e il seguito scritto con Zelazny a partire dal 1968 fino al 1975, quando per questioni contrattuali i due autori devono terminarlo e consegnarlo all'editore.
Un peccato soprattutto perché il mondo radioattivo popolato da aberrazioni animali e umane (ma non necessariamente cattive) si presenta come uno scenario accattivante, che però non viene sfruttato a dovere. Forse non è un caso che creature dai connotati molto simili appariranno anche in Nick e il Glimmung del 1966.
Una menzione d'onore all'idea del “Grande C”: un'intelligenza artificiale in declino che utilizza i corpi umani per trarne l'energia necessaria a sopravvivere. Personalmente l'ho subito ricondotta a due idee simili più recenti, a riprova del peso attribuibile all’eredità di Philip K. Dick nella cultura del fantastico di cui ci nutriamo oggi: le macchine di Matrix che liquefano i corpi per trarne energia, e l'intelligenza artificiale resa pazza dalla solitudine (Blaine il Mono) presente nel terzo volume della saga La Torre Nera di Stephen King. Ma Dick li ha preceduti tutti.
Il finale, almeno concettualmente, porta con sé una riflessione universale sull'esistenza: nonostante tutto, è meglio credere ciecamente a una risposta assoluta, per quanto fasulla essa sia, anziché seppellire ogni fede e vagare sperduti e senza speranza in un mondo andato in malora. Nonostante Deus Irae si presenti come un lavoro lacunoso e traballante, ancora una volta ci offre spunti sorprendenti.

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